Il cambiamento

La continua trasformazione del nostro “mondo interno”

Credo che ogni essere umano sia unico. Una banalità? Forse.

Tuttavia spesso non ci si sofferma nel pensare a quante trasformazioni siano in atto continuamente in noi. In modo microscopico delle volte possiamo dire che quando torniamo a casa la sera non siamo “esattamente” gli stessi di quando ci siamo svegliati la mattina: un incontro, un evento, uno stimolo qualsiasi anche il più insignificante possono cambiare qualcosa in noi.

Questo anche senza ovviamente far riferimento ai grandi eventi trasformativi come un lutto, un trauma, un cambiamento di vita (figli, matrimoni, licenziamento, ecc).

Questa idea non è altro che il famoso Panta Rei di Eraclito:

 

“Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va.”

 

La continua trasformazione del nostro essere del nostro stare e del nostro sentire è uno dei principi con cui lavoro con le persone.

Non solo dunque ogni persona è unica e va vista come tale, ma anche all’interno della persona stessa vi sono dei movimenti continui, delle trasformazioni, esattamente come scrisse il poeta Fernando Pessoa:

“La mia anima è una misteriosa orchestra; non so quali strumenti suoni e strida dentro di me: corde e arpe, timpani e tamburi. Mi conosco come una sinfonia.”

Tutti noi siamo sinfonie suonate da una misteriosa orchestra. Sentiamo i suoni dei singoli strumenti (sintomi), ma non sappiamo da quale strumento esattamente suonino (emozioni).

 

“Che effetto ti fa?”

Una domanda che spesso faccio alle persone durante le sedute: “Cosa provi ora?” oppure per usare un linguaggio ancora più specifico “Se pensi a quello che mi hai detto, se ripensi a quello che è successo, che effetto ti fa?”.

 

Anche tu che stai leggendo adesso, prova a ripensare ad un qualche evento recente della tua vita e chiediti: “Che effetto mi ha fatto?”. Ripensa ad esempio ad un incontro che hai avuto, ad una telefonata che hai ricevuto, oppure ad una discussione che hai avuto con il tuo partner. Ancora più semplicemente chiediti: cosa sto provando ora?

Nella sua apparente semplicità non è così facile rispondere a questa domanda

 

Il tuo mondo interno

Il mondo delle emozioni in questo per quanto sia una cosa in qualche modo inafferrabile è in questo caso la cosa più vera. E’ quello che il paziente sta provando, è quello che lo fa star male, che gli impedisce ad esempio di dormire la notte.

Ma le emozioni, soprattutto senza l’aiuto di un esperto, sono difficili da capire. Delle volte possiamo essere vittime di un profondo disagio al quale non sappiamo dare nemmeno un nome. Sappiamo solamente che stiamo male. I nostri pensieri viaggiano verso le più disparate direzioni alla ricerca di una soluzione o quantomeno di una causa.

Questo accade perchè non abbiamo ancora imparato a conoscerci e a conoscere veramente il nostro mondo interno.

Confondiamo la rabbia con la gelosia, la tristezza con la disperazione, l’impotenza con la rassegnazione e via discorrendo. Sembrano piccole e trascurabili differenze, ma se non considerate possono portare le persone ad una catena pressoch? infinita di fallimenti nati dal vano tentativo di voler svitare un bullone con un cacciavite anzich? che con una chiave inglese.

Non solo.

Può capitare che alcune emozioni diventino così forti e soverchianti da sfuggire al nostro controllo. Sfociano in depressione, ansia, panico e tutte le cosiddette patologie psicologiche.

Ci si sente confusidisorientatispaventati. Il dolore psicologico diventa così forte da impedirci di respirare.

 

Chiedere un aiuto psicologico può farti riprendere il controllo della tua vita e delle tue emozioni, laddove il percorso si era interrotto.

 

 

Dare un nome alle tue emozioni

Dare alla persona gli strumenti per conoscere quello che sente veramente è fondamentale. Questo è un processo che nella mia pratica clinica viene chiamato “alfabetizzazione emozionale”.

Nel 2016 la ricercatrice e psicologa Tiffany Watt Smith nel suo libro “The Book of Human Emotions” è riuscita ad identificare un compendio di 156 emozioni, dalle più note e comuni fino a emozioni prese in prestito dal linguaggio di altre culture.

 

Gli effetti dell’alfabetizzazione emotiva

“Dai parole al dolore; il dolore che non parla, sussurra al cuore oppresso e gli ordina di spezzarsi” (Shakespeare)

Il riconoscimento dell’emozione è alla base della rivalutazione dell’evento emotivo (il cosìddetto reappraisal). In altre parole la valutazione cognitiva è il primo passo per calmare quell’emozione.

Numerose ricerche in ambito neurologico hanno confermato questo tipo di funzionamento.

 

Una famosa ricerca tenuta dal dott. Matthew Lieberman dell’ UCLA ha dimostrato che nominando l’emozione percepita durante l’osservazione di foto di persone con varie espressioni emotive, dalla rabbia alla gioia, l’attivazione della corteccia prefrontale aumentava e l’attivazione dell’amigdala diminuiva rispetto alle attivazioni corrispondenti alla semplice osservazione delle stesse foto.

L’amigdala è il centro emotivo del nostro cervello. Diminuirne l’attivazione significa tenere sotto controllo la carica affettiva dell’evento con la conseguente riduzione della risposta dello stress e della tendenza ad esprimere la reazione emotiva in modo impulsivo.

Etichettare linguisticamente diventa già un contenitore per le nostre emozioni. Uno dei suggerimenti che Lieberman da in questa direzione è quello di tenere un diario delle proprie emozioni.

Nella mia pratica clinica con la gestione delle emozioni il lavoro successivo che viene fatto è quello di costruire gli “antidoti” esistenziali per affrontare quel tipo di emozione di disagio e sofferenza.

Questo passaggio implica invece la costruzione di percorsi specifici che variano da persona a persona ma che portano sempre ad un risultato: una maggiore conoscenza di se stessi ed un aumento del benessere psicologico della persona.