Spesso la psicoterapia viene associata al concetto di felicità. Molte persone soprattutto in fase di primo colloquio dichiarano di “non essere felici”, di aver perso quella felicità che prima in qualche modo faceva da sfondo alle loro vite.

Senza entrare nel merito delle discussioni filosofiche su che cosa voglia dire effettivamente “felicità”, che cosa intendiamo noi per “essere felici”, è chiaro che resta uno stato al quale tutti noi, a seconda delle varie sfumature semantiche, tendiamo. In altre parole, salvo tendenze masochistiche, tutti noi vorremmo essere felici.

La vita delle volte risponde in linea con il nostro desiderio (una promozione sul lavoro, un amore corrisposto, o anche semplicemente una serata di risate tra amici, ecc.), ma altre volte si presenta l’altro lato della medaglia: la sofferenza.

Facendo riferimento anche quanto espresso nelle quattro nobili verità del buddismo, possiamo però fare un passo in avanti ed affermare che nella vita esiste il dolore ed esiste la sofferenza. Il dolore è inevitabile (lutti, malattie, fine di una relazione, ecc) e in varia misura ne abbiamo fatto tutti esperienza, ed in alcuni casi ciò che lo rende così insopportabile è il mancato riconoscimento, la mancata accettazione.

Ciò che invece è evitabile è il grado di sofferenza associato a quel dolore.

La sofferenza in questo caso è come la manovella del volume, e siamo proprio noi ad alzarne o abbassarne il grado.

 

“Quanta sofferenza stai mettendo in questo evento che ti è capitato?

Questa non è solo una differenziazione utile solo a fini accademici per fare contento lo psicologo, ma un vero e proprio cambio di prospettiva da un punto di vista esistenziale.

Perchè?

Perchè è importante riconoscere il fatto che la felicità non ci è dovuta. Non sta scritto da nessuna parte che devi essere felice, che c’è un ufficio apposito per la distribuzione della felicità in modo democratico. Se pensi sia così è molto probabile che tu finisca in un loop negativo di emozioni, e dalla trappola delle lamentele e dell’ingiustizia.

Quello che qui vorrei suggerirti è un semplice pensiero, delle volte anche difficile da accettare ma che può finalmente darti l’opportunità di essere padrone della tua vita e non solo “ospite” in attesa che qualcosa ti venga dato dall’esterno.

Il pensiero è che la felicità è una scelta. La felicità è una tua responsabilità, non di tua moglie, dei tuoi figli o del tuo capo.

Se in questo periodo non sei felice, inizia a porti una domanda:

 

“Che cosa faccio IO per la MIA felicità?”

 

E’ molto probabile che questa domanda ti aiuti a puntare il riflettore su aspetti e risorse della tua vita che in questo momento non riesci nemmeno a vedere.

Buona ricerca.